Onorevoli Colleghi! - Il diritto di asilo trova il suo fondamento nell'articolo 10, terzo comma, della Costituzione, in virtù del quale «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».
      A quasi sessant'anni dalla data di entrata in vigore della nostra Carta costituzionale, non è ancora stata approvata una legge sul diritto di asilo aderente al dettato costituzionale. La legge 30 luglio 2002, n. 189, approvata nella scorsa legislatura, è, infatti, per quanto riguarda il riconoscimento del diritto di asilo, del tutto insufficiente oltre che, in alcune parti, in contrasto con i princìpi costituzionali.
      Le sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno stabilito che l'articolo 10 della Costituzione è immediatamente e direttamente applicabile e attribuisce allo straniero un diritto soggettivo perfetto (sentenza n. 4674 del 1997).
      La presente proposta di legge intende quindi regolamentare la materia della protezione umanitaria e del diritto di asilo, dando finalmente piena attuazione al dettato costituzionale e garantendo il recepimento nell'ordinamento italiano di disposizioni contenute in molti trattati internazionali.
      L'Italia, infatti, aderisce alle convenzioni internazionali che sanciscono il divieto di estradizione - e quindi, a maggior ragione, di espulsione - nei Paesi dove lo straniero rischia la pena di morte o anche solo di essere discriminato per motivi razziali, etnici, religiosi e politici.
      L'Italia, inoltre, ha firmato e reso esecutiva, con la legge n. 848 del 1955, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e la

 

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Corte costituzionale, con sentenza n. 223 del 27 giugno 1996, ha dichiarato incostituzionale il disposto dell'articolo 698, comma 2, del codice di procedura penale nonché l'articolo IX del trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati Uniti d'America, reso esecutivo con la legge n. 225 del 1984, sancendo il divieto di estradizione e quindi, a maggior ragione, seppure in via indiretta e analogica, di espulsione, ogni qualvolta, nel Paese ove il soggetto dovrebbe essere inviato, vi sia anche solo la possibilità di una condanna alla pena capitale.
      Nello stesso senso si pone la disposizione dell'articolo 19, comma 1, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, secondo cui: «In nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione».
      Nell'articolo 43, comma 1, del predetto testo unico si precisa che «costituisce discriminazione ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica».
      Va rilevato, inoltre, come i presupposti per ottenere lo status di rifugiato siano differenti rispetto a quelli richiesti dalla Costituzione per ottenere l'asilo. Per la Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, relativa allo statuto dei rifugiati, resa esecutiva con la legge n. 722 del 1954, è necessario che lo straniero sia perseguitato ovvero nutra il fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza o di religione o per la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche e non possa o non voglia per tale motivo avvalersi della protezione del Paese di cui è cittadino. Per quanto riguarda l'asilo, il nostro ordinamento costituzionale prevede che questo sia garantito allo straniero al quale sia impedito, nel suo Paese, l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.
      Secondo le Nazioni Unite, le decisioni sull'asilo e sullo stato di rifugiato non possono, e non devono, avere carattere politico: devono, cioè, essere assunte esclusivamente in base alla sussistenza o meno dei requisiti previsti, senza alcun margine di discrezionalità. Nel caso contrario, la tutela dei diritti fondamentali dell'individuo verrebbe condizionata dalle convenienze politiche del momento: il che è inammissibile in uno Stato di diritto.
      Non si può non rilevare, infine, che, dal momento che il diritto di asilo, come più volte ribadito dalla dottrina e dalla giurisprudenza, anche di legittimità, è da considerare un «diritto soggettivo perfetto», deve essere un giudice, autonomo e indipendente da ogni altro potere dello Stato, a decidere se esistono i presupposti per il suo riconoscimento. E che, fino a quando non vi è una sentenza irrevocabile di concessione o di diniego della richiesta di asilo, è dovere di ogni Stato democratico offrire protezione allo straniero che ne fa richiesta ogni qualvolta dal richiedente sia prospettata una situazione per la quale, nel suo Paese di origine, sia impedito l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla nostra Costituzione (salvo i casi di richieste meramente strumentali o inammissibili).
      Prevedere che, a fronte del diniego del riconoscimento del diritto di asilo, e in pendenza di ricorso all'autorità giudiziaria, il richiedente possa essere espulso, significa non solo vanificare i princìpi del nostro ordinamento costituzionale, e di
 

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ogni ordinamento democratico, ma anche assumersi la grave responsabilità di non tutelare tutti coloro ai quali, nel loro Paese, non sono garantiti i fondamentali diritti dell'uomo.
      La presente proposta di legge prevede quindi che, a fronte di persecuzioni e discriminazioni perpetrate ai danni di stranieri o di apolidi nei Paesi di cui sono, rispettivamente, cittadini o abitualmente residenti, sia certa, per i richiedenti, l'acquisizione del diritto di asilo nel nostro Paese.
      Si tratta di persecuzioni e discriminazioni legate non solo a motivi politici, di razza, di religione, di nazionalità e di appartenenza a un determinato gruppo sociale o etnico, ma anche di persecuzioni o discriminazioni relative al sesso e all'orientamento sessuale, come delineato dalla stessa Convenzione di Ginevra del 1951. La presente proposta di legge quindi assicura un'adeguata tutela alle donne, intese come gruppo sociale, che siano pur solo potenzialmente vittime di violenze di carattere sessuale, fisico e psicologico in Paesi in cui tali aberranti pratiche sono sostenute o anche indirettamente tollerate dallo Stato. Il caso di Amina Lawal in Nigeria ha sconvolto le coscienze delle donne e degli uomini di mezzo mondo, dimostrando che l'essere donna in certe realtà è ancora oggi motivo di discriminazione. Tali forme integraliste di interpretazione e di applicazione della sharia islamica, soprattutto in alcune zone dominate da un nuovo fondamentalismo islamista, colpiscono con particolare ferocia le donne, mettendone a rischio diritti fondamentali quali la sicurezza fisica, la sessualità, la maternità e, in casi estremi - ma non rari -, la stessa vita. Altro caso emblematico riguarda la diffusa pratica delle mutilazioni genitali femminili della quale molte donne sono vittime.
      In molti Paesi, inoltre, si attuano vere e proprie persecuzioni ai danni di uomini e di donne i cui orientamenti sessuali non sono, per così dire, «conformi» ai precetti delle religioni dominanti o di Stato, e pertanto puniti dalle leggi statali. In molti casi il richiedente asilo ha rifiutato di aderire a ruoli socialmente o culturalmente definiti o di rispettare le aspettative di comportamento attribuite al proprio sesso. Frequenti sono pertanto le richieste di asilo che coinvolgono omosessuali e transessuali che hanno affrontato non solo il pubblico pregiudizio, ma anche veri e propri abusi, violenze o dure discriminazioni; situazioni cui la presente proposta di legge intende offrire adeguata tutela. Si pensi all'Egitto, dove l'omosessualità è punita con la detenzione, o all'Arabia Saudita, dove addirittura è punita con la pena capitale. Sempre ai sensi della citata Convenzione di Ginevra, pure nei Paesi dove le pratiche omosessuali non sono illegali il richiedente può sostenere la validità della propria richiesta quando lo Stato condona o tollera pratiche discriminatorie o ingiustizie da lui subite, o anche quando non viene garantita la necessaria protezione a questo gruppo sociale.
      La presente proposta di legge prevede la garanzia del diritto di asilo per coloro che sono costretti a fuggire dal proprio Paese per salvare sé o i propri familiari da persecuzioni o dal timore fondato di persecuzioni: status che deve essere concesso a chiunque subisce minacce alla propria vita o vede minacciata la propria incolumità personale, la propria sicurezza, la propria libertà personale, ovvero a chi è sottoposto a trattamenti disumani o degradanti. Non solo, ma, più in generale, ad ogni straniero al quale, nel suo Paese, è impedito l'esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.
      Viene inoltre esteso il diritto di asilo al coniuge, ai conviventi e ai figli minori al fine di assicurare il mantenimento dell'unità familiare e dei riferimenti affettivi.
      I proponenti sottopongono all'attenzione del Parlamento la presente proposta di legge con l'auspicio che trovi finalmente attuazione il dettato costituzionale in materia di diritto di asilo.
 

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